L’inutilità del reato di clandestinità

L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione ha diffuso un lungo comunicato nel quale spiega perché il reato di clandestinità è inutile. Prima di tutto, si tratta di una contravvenzione dai cinque ai diecimila euro, che normalmente non viene pagata da nessuno, visto che chi è clandestino non può essere proprietario di case, conti correnti, o beni sui quali l’agenzia delle entrate possa intervenire. Secondo, anche il reato di inosservanza all’ordine di allontanamento dal territorio dello stato non si applica più dall’aprile del 2011, dopo una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale vìola la direttiva rimpatri. Secondo l’Europa, se uno straniero è clandestino, deve essere rimpatriato, non trattenuto inutilmente in galera. Scrive l’Asgi che quella che istituisce il reato di clandestinità è soltanto una “legge manifesto”, fatta per rassicurare l’opinione pubblica, ma di nessuna utilità pratica.
Nello sconfessare la proposta avanzata dai suoi parlamentari, Beppe Grillo aveva scritto che abolire il reato di clandestinità sarebbe stato “un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia”. I senatori del Movimento Cinque Stelle hanno comunque rifiutato di ritirare il loro emendamento, che chiedeva l’abolizione di questo reato.
Il comunicato dell’Asgi è stato pubblicato sul sito di Melting Pot. Nei giorni scorsi lo stesso sito aveva pubblicato un appello per l’apertura di una canale umanitario europeo, cioè della possibilità per i profughi di guerra di chiedere l’asilo senza doversi imbarcare clandestinamente. L’appello è stato sottoscritto da numerose associazioni, e da vari personaggi della cultura e dello spettacolo.

Visita al Cie di Trapani

Il professor Fulvio Vassallo Paleologo ha visitato il Cie trapanese di Milo, che dovrebbe essere il più moderno ed efficiente in Italia. In realtà ha constatato i segni delle rivolte, mentre la tensione continua a restare molto alta, a giudicare dai reparti antisommossa fatti arrivare in città da chissà dove, ed alloggiati in albergo a spese dello Stato. La delegazione ha potuto constatare la presenza di persone recluse da più di sei mesi, in un caso addirittura da dieci mesi. Siamo al disotto dei tempi previsti dalla legge (18 mesi), si tratta comunque di detenzione amministrativa al di fuori dei casi previsti dall’articolo 13 della Costituzione italiana. Inoltre la direttiva europea sui rimpatri stabilisce che il trattenimento deve cessare quando sia evidente che “non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1”. Quindi, secondo Paleologo, in questi casi “la detenzione amministrativa degli stranieri irregolari rimane dunque priva di fondamento legale”.
L’articolo è stato pubblicato su Melting Pot
Intanto prosegue il dibattito sul Cie di Lamezia Terme, dopo che nei giorni scorsi sono state diffuse le fotografie della gabbia gialla costruita per evitare atti di autolesionismo dettati dalla disperazione. Ora, a prendere posizione è il sindaco di Lamezia, Gianni Speranza, che ha scritto al Ministro dell’Interno Cancellieri per chiedere la trasformazione del Cie lametino in un centro di accoglienza. Non sembra che le politiche riguardanti l’immigrazione siano considerate una priorità dall’attuale Ministro.
La richiesta fatta dal sindaco è stata ripresa da Repubblica, e da Libero-Adnkronos.
Invece la notizia riguardante la richiesta dell’Asgi di revocare trattenimenti ed espulsioni di quegli stranieri che potrebbero ottenere la regolarizzazione sulla base del decreto legislativo 109/2012 resta in ambito di siti specializzati. E’ stata ripresa da Stranieri In Italia, con foto di repertorio. Secondo l’associazione, il decreto sospende i procedimenti espulsivi già in corso relativi alla violazione di norme in materia di ingresso e soggiorno. Quindi, venendo meno il provvedimento di espulsione, anche il trattenimento diventerebbe illeggittimo.

Nessuna notizia

In questo inizio di settembre non arrivano più notizie dai Cie. Non sta succedendo nulla, o non interessa più l’argomento?
Su Youtube intanto, da tre settimane, è stato postato un video realizzato in occasione di un convegno europeo promosso dalla Cub, che si è svolto a Milano il 30 giugno scorso. Nella registrazione, l’avvocato dell’Asgi Luce Bonzano spiega la direttiva europea sui rimpatri, chiarendone i meccanismi ed evidenziando i passi avanti e i passi indietro rispetto alla normativa italiana.
Un lato negativo riguarda la durata del trattenimento previsto, un anno e mezzo, più lunga di quella che era prevista prima dallo stato italiano. Anche l’esistenza di centri per la detenzione amministrativa è prevista dall’Europa per il controllo dell’immigrazione.
Un lato positivo invece riguarda la possibilità di chiedere il rimpatrio volontario. Se lo straniero, trovato in condizione di clandestinità, chiede di poter usufruire di questa possibilità e ne ha i requisiti, può attendere il rimpatrio a piede libero e non scatta il divieto di reingresso. Quest’ultimo provvedimento potrà avere una durata massima di cinque anni, anziché i dieci previsti dalla legge italiana. In caso di reati la direttiva non si applica. In caso di inottemperanza anche al rimpatrio volontario non si potrà usufruire una seconda volta di questa possibilità.
Per quanto riguarda il reato di clandestinità, previsto dalla legge italiana, dopo il pronunciamento a sfavore da parte della corte europea di giustizia non viene più contestato a nessuno.
Il sito web dell’Asgi è costantemente aggiornato. Notizie messe in evidenza di recente riguardano le sanzioni nei confronti di datori di lavoro che impiegano lavoratori stranieri irregolari e le procedure di regolarizzazione del 2012, e l’accoglimento del reclamo del comune di Roma a proposito del villaggio La Barbuta, costruito nell’ambito del “piano nomadi”. Giudici diversi hanno preso decisioni discordanti, si attende una pronuncia definitiva.

Le norme sui rimpatri su Polizia Moderna

Polizia Moderna, rivista ufficiale della Polizia di Stato, ha pubblicato un articolo che per ricostruire la storia delle norme che riguardano i rimpatri.
L’autore dell’articolo sembra sia un funzionario in un ufficio immigrazione di una questura italiana.
L’articolo è scritto per gli addetti ai lavori, per fare chiarezza in un ambito abbastanza ingarbugliato.
All’origine della confusione, il fatto che l’Italia non ha recepito nei tempi previsti la direttiva europea sui rimpatri (2008), anzi, ha approvato nel frattempo norme che sono in aperto contrasto (il pacchetto sicurezza del 2009).
Purtroppo l’articolo non è disponibile online, se non per gli abbonati.
A quanto pare, la legge 129 del 2011 converte il decreto legge 89 dello stesso anno, e recepisce finalmente la direttiva rimpatri.
L’Unione Europea ha voce in capitolo a proposito della regolamentazione dei visti, del diritto di asilo e di libera circolazione delle persone. Ed è stato proprio questo che ha provocato incrinature nella coesione dell’impianto normativo italiano.
La legge italiana infatti considerava la clandestinità come un reato, punibile fino a quattro anni di carcere. La direttiva europea invece prevede procedure volontarie per il rimpatrio. Se, dopo che gli è stata data la possibilità di tornare volontariamente nel suo paese, lo straniero la rifiuta, allora è possibile procedere all’allontanamento coattivo, “prendendo le misure meno coercitive possibili”.
In questo caso è possibile trattenere lo straniero fino a 18 mesi, ma non certo per motivi di espiazione della pena, (carcere per i clandestini), bensì solo per la preparazione del rimpatrio.
La confusione che si è creata per il fatto di non avere recepito in tempo la direttiva europea ha creato qualche problema alle forze dell’ordine e ai tribunali. E’ capitato che persone arrestate per il reato di clandestinità, siano state rilasciate dal giudice perché il fatto, dopo l’entrata in vigore della normativa europea, non era più considerato reato, sebbene fosse ancora formalmente previsto dalla legge italiana.

L’Unhcr è preoccupato

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati è preoccupato per il prolungamento della durata massima del trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione da 6 a 18 mesi. Lo ha scritto in un comunicato pubblicato ai primi di luglio. Il problema, spiega l’Unhcr, è soprattutto che non è previsto un rafforzamento delle garanzie dei soggetti trattenuti, né un adeguamento delle condizioni dei Cie e dei relativi servizi.
L’Alto Commissariato raccomanda di limitare la durata massima del periodo di trattenimento e, in ogni caso, prevedere maggiori garanzie per le persone trattenute. In particolare, bisogna prevedere il rilascio immediato nel caso in cui il trattenimento non sia giustificato in attesa di ragionevoli prospettive di eseguire l’allontanamento. Bisognerebbe introdurre il principio di non respingimento.
La notizia ha trovato spazio su testate come Tmnews, L’Eco di Bergamo, ma non ha ottenuto visibilità sui grandi mass media. A fianco dell’articolo, su entrambi i siti, la foto standard di un barcone arrugginito carico di migranti. Nessuna nota a proposito di chi dirige l’Alto Commissariato, nessun nome. Né vengono forniti dettagli su cosa fa di preciso in Italia l’organizzazione.
La Camera dei Deputati ha approvato il Decreto sui rimpatri a metà di luglio. Ora il testo deve essere discusso dal Senato, ma non si sa di preciso quando. Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Unhcr, ha auspicato che ci siano miglioramenti. Non sembra però che qualche politico italiano le abbia risposto entrando nel merito delle sue osservazioni.

Il decreto di Maroni

A dicembre dell’anno scorso è entrata in vigore la direttiva 2008/115/CE in materia di espulsioni. La direttiva prevede che bisogna ricorrere alla detenzione amministrativa nei Cie solo se altre vie meno coercitive non sono praticabili. Maroni aveva già annunciato in passato che avrebbe ideato un decreto per cercare di aggirare le norme europee. L’Italia in teoria dovrebbe adeguare la propria normativa a quella europea, ma non l’ha fatto. Quindi la direttiva rimpatri dovrebbe scavalcare tutte le leggi italiane ed essere applicata comunque. Ma questa soluzione non piace al ministero dell’Interno. Che sembra avere messo a punto un decreto per “correggere” la direttiva, dando nuovamente importanza alle espulsioni forzate. Il decreto sarà discusso nel corso del prossimo consiglio dei ministri.
Ne parla Fulvio Vassallo, in un articolo su Terrelibere.org. In un intervista a Libero il ministro Maroni ha anche fornito dati che riguardano i rimpatri di extracomunitari. Scrive Vassallo che quei dati non coincidono con i dati settimanali forniti dallo stesso ministero dell’Interno. Una delle due cifre sarebbe falsa, o perlomeno inesatta.
Fulvio Vassallo era stato uno dei pochi a parlare della direttiva rimpatri prima ancora che entrasse in vigore, quando già era chiaro che avrebbe creato problemi nei tribunali italiani. All’epoca erano in pochi ad occuparsi di immigrazione, non essendo ancora iniziata l’emergenza sbarchi. Adesso lo studioso lancia un altro allarme, che riguarda una direttiva del 2009, numero 52, che riguarda la regolarizzazione degli immigrati irregolari che denunciano una situazione di grave sfruttamento. L’Italia dovrebbe recepirla entro luglio di quest’anno. Mancano due mesi, eppure non sembra che il governo sia determinato a dare attuazione a quest’altra direttiva.
Le norme italiane sono in contrasto con le direttive comunitarie oltre che con il dettato costituzionale, scrive Vassallo. Approfittando dell’emergenza sbarchi, sono stati istituiti dei Cie temporanei nelle tendopoli di Trapani, Potenza e Caserta, e sono stati utilizzati come centri di datenzione il Cara di Trapani e la tensostruttura di Porto Empedocle.
Il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza nel febbraio di quest’anno. In realtà l’immigrazione viene considerata un’emergenza dal 2002, all’epoca della Bossi Fini. In questo modo molti aspetti della gestione dei centri per immigrati sono coperti da segreto militare, e ai centri viene ora vietato l’accesso ai giornalisti, e talvolta anche ai parlamentari.

Rimedi contro la direttiva

Entro febbraio il Ministro dell’Interno Maroni porterà in consiglio dei ministri un decreto per far fronte all’entrata in vigore della direttiva europea sui rimpatri. “Dobbiamo porre rimedio agli aspetti negativi della direttiva”, ha commentato. “Alcune procure la stanno interpretando come un ‘liberi tutti’, come se non si potessero fare più arresti ed espulsioni di clandestini”.
Non è ancora chiaro che cosa si scriverà nel decreto. In teoria la legge prevede che tra se una norma italiana contrasta con una norma europea, quest’ultima prevale comunque.
La direttiva europea sui rimpatri, approvata nel 2008, è entrata in vigore da più di un mese. Si sapeva che era in contrasto con la legge italiana, in particolare con la Bossi-Fini e con il Pacchetto Sicurezza. In teoria l’Italia avrebbe dovuto recepirla, ovvero armonizzare le norme nazionali con quelle comunitarie, ma non l’ha fatto. Solo ora il governo inizia a rendersi conto dei problemi che si stanno creando nei tribunali italiani. I giudici stanno disapplicando la legge italiana, in attesa che si faccia chiarezza. Tra l’altro c’è anche una sentenza italiana che interpreta l’indigenza come un giustificato motivo per non ottemperare ad un decreto di espulsione. In ogni caso è diventato più difficile applicare il reato di clandestinità.
Ieri sul sito web del Giornale è apparso un articolo intitolato “La nuova sfida delle procure al governo: ‘Vietato arrestare gli immigrati clandestini'”. Alla domanda “E’ giusto che le procure non applichino la legge sull’immigrazione?” l’81,13% dei lettori ha risposto “No, è inammissibile”. Ultimi commenti all’articolo: “Le toghe vogliono islamizzare l’Italia”, “Siamo diventati una repubblica giudiziaria”, “Portiamo i clandestini nelle case dei magistrati”.

Se ne sono accorti

Dopo un mese e dodici giorni dall’entrata in vigore della direttiva europea sui rimpatri, anche la stampa nazionale di destra inizia a rendersi contro del caos che si è creato.
La direttiva è stata approvata a dicembre del 2008. Gli stati avevano tempo fino al 24 dicembre scorso per adattare le proprie leggi a quelle europee. Non avendolo fatto, le norme europee sono entrate in vigore comunque, mandando silenziosamente in pensione una parte consistente della Bossi-Fini, che ha iniziato ad essere disapplicata. In particolare è saltato anche il reato di clandestinità. Una dopo l’altra le varie procure si sono adattate, interpellando le istituzioni europee per avere ulteriori chiarimenti.
Il Giornale presenta la questione sotto un altro aspetto. Sono le procure, secondo un articolo firmato Redazione, a vietare l’arresto dei clandestini per sfidare il governo (titolo dell’articolo: “La nuova sfida delle procure al governo: ‘Vietato arrestare gli immigrati clandestini'”).
L’attacco: “Roma- Non è la prima volta che le toghe decidono di disapplicare una legge dello stato sull’immigrazione”.
Per il giornalista si tratta di un episodio molto grave: “E’ un vero e proprio assalto al potere esecutivo e legislativo, che dietro un preciso mandato popolare hanno approvato una legge che disciplina il fenomeno dell’immigrazione”.
Eventuali arresti che le forze dell’ordine dovessero fare per reato di clandestinità non sarebbero convalidati dalla magistratura. Ovviamente questo provvedimento riguarda solo gli irregolari che non delinquono. Nel senso che se un clandestino ruba può essere arrestato per furto, ma se non ruba non può essere arrestato solo per reato di clandestinità.
Il Giornale ha anche avviato un sondaggio “E’ giusto che le procure non applichino la legge sull’immigrazione?” (senza specificare se ci si riferisce alla legge italiana o a quella europea).
I risultati al momento vedono l’80,36% dei no, contro il 19,64% dei si.
L’ultimo commento che ha ricevuto l’articolo è “I giudici che non applicano la legge devono essere defenestrati”. Il penultimo “Magistrati andate a lavorare”.
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C’è ancora il reato di clandestinità?

La direttiva europea sui rimpatri sta producendo i suoi effetti nei tribunali italiani, anche se solo i mass media locali e gli addetti ai lavori sembrano essersene accorti.
Melting Pot esamina due casi che riguardano il tribunale di Milano e di Cagliari, e una nota diramata dalla procura della Repubblica di Firenze.
In discussione c’è l’articolo che prevede il reato di clandestinità, e la relativa pena.
Il Tribunale di Milano chiede alla corte di Giustizia dell’Unione Europea, se alcuni articoli della direttiva non siano in contrasto con il reato di clandestinità previsto dalla legge italiana.
Scrive Melting Pot: “Nessun ostacolo applicativo verrebbe in essere se nel contesto della procedura di rimpatrio, un soggetto venisse arrestato, sottoposto a misura cautelare e poi condannato ad una pena detentiva con condanna passata in giudicato, in merito ad un fatto di reato (per esempio un ipotesi di spaccio, furto o rapina) commesso prima o durante la procedura di rimpatrio e completamente avulso dalla stessa”.
Nei giorni scorsi il vicesindaco di Milano aveva parlato di “strumenti spuntati” nei confronti degli irregolari che delinquono.
Secondo il giudice milanese, il tempo che un clandestino trascorre in carcere per reati diversi da quello di clandestinità, non va inserito nel conteggio del trattenimento finalizzato all’espulsione. Ma se un irregolare viene condannato a cinque anni di prigione per la sua condizione di clandestinità, si eccede il limite massimo di 18 mesi di trattenimento fissato dalla Direttiva.
Il Tribunale di Cagliari ha assolto dal reato di clandestinità un senegalese impossidente. Nella sentenza però ci sono numerosi riferimenti al fatto che la procedura prevista dalla legge italiana è in contrasto con quella europea. Si parla anche di “abolitio criminis”.
Secondo la nota diramata a Firenze, viene a mancare il contenuto cardine del reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore.

La direttiva a Genova e Firenze

Il sostituto procuratore di Genova Francesco Pinto ha iniziato a disapplicare la normativa italiana in materia di espulsioni. Un senegalese, arrestato per non aver ottemperato ad un precedente ordine di espulsione, è stato scarcerato. A Firenze il Procuratore Capo ha diramato una circolare in cui invita a non arrestare più alcun immigrato per il reato di clandestinità, limitandosi alla denuncia del suo stato di irregolare. Sarà il magistrato a valutare il provvedimento da adottare in seguito.
A portare il caos nei tribunali italiani è stato lo scadere del termine di recepimento della direttiva europea sui rimpatri, il 24 dicembre scorso. Il parlamento non ha uniformato la legge italiana a quella europea. Quindi, pur non essendo stata abrogata la Bossi-Fini, i magistrati sono autorizzati a disapplicarla.
A tutto questo si aggiunge una sentenza della corte costituzionale, anche questa venuta fuori a dicembre scorso, che prevede che se un irregolare non ha i mezzi per allontanarsi dall’Italia, ha un “giustificato motivo” per non ottemperare ad una espulsione nei suoi confronti. Le forze dell’ordine hanno già ricevuto istruzioni: è inutile arrestare clandestini poveri, perché non saranno incriminati per reato di clandestinità.
L’Italia rischia di subire procedure di infrazione da parte dell’UE. Impegnati nel quotidiano battibecco, i leader politici non hanno ancora trovato il tempo di attirare l’attenzione su questo problema.