Mare chiuso

Il documentario Mare Chiuso, di Stefano Liberti e Andrea Segre, è stato visibile in versione integrale da venerdì fino alla mezzanotte di domenica su Vimeo.
L’iniziativa è stata decisa da Za Lab approfittando della commozione generale seguita alla strage di Lampedusa, e anche considerando le varie dichiarazioni politiche favorevoli al ripristino dei respingimenti che ne sono seguite.
Il documentario è incentrato proprio sul racconto di alcuni degli immigrati respinti ai tempi del governo Berlusconi, quando il ministro dell’Interno era Roberto Maroni, e in Libia c’era Gheddafi.
I migranti raccontano le loro speranze al momento della partenza, la gioia quando vengono finalmente soccorsi dalle navi italiane, e poi le bastonate ricevute per farli scendere di nuovo in Libia, le violenze nel carcere libico, la disperazione per il fatto di ritrovarsi a vivere nelle tende. E poi i compagni morti in mare, i traumi, la delusione per il comportamento dell’Italia.
Alcuni dei sopravvissuti si sono rivolti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ha giudicato illegali i respingimenti, per il fatto che le persone sono state espulse senza essere identificate, cioè senza che nessuno abbia controllato se avessero diritto alla protezione internazionale.
La Corte ha anche stabilito un indennizzo di 15 mila euro per ciascuno dei ricorrenti.
In tre giorni il documentario è stato visualizzato oltre 12.800 volte. Ora sul sito resta soltanto il trailer di quattro minuti.
Per l’occasione, uno degli autori del documentario è stato intervistato da Vice. Ha dato qualche spiegazioni in merito ai respingimenti, alla sentenza europea, e all’andamento dei flussi migratori dopo la cosiddetta primavera araba.

Nuovo video da Trapani

Scrive il Fatto Quotidiano che nelle ultime settimane 118 persone sono evase dal Cie di Trapani Milo, scavalcando i muri della recinzione. Sul sito è disponibile un filmato con alcune interviste ai reclusi, raccolte nel corso della recente visita organizzata dalla Fnsi per una folta delegazione di giornalisti. In primo piano, la testimonianza di un migrante che ha accumulato 22 anni di contributi per lavori svolti in Italia, ha una figlia nata a Napoli, e ora gira da un centro di espulsione all’altro in attesa di essere riconosciuto dalle autorità del suo paese ed espulso.
Ieri sul sito di TmNews abbiamo visto un altro filmato ripreso nel corso della stessa visita.

Spesso la stampa si occupa di Cie solo collegandoli con il problema della criminalità. Le autorità diffondono comunicati solo al momento dell’ingresso degli stranieri nei centri, senza poi seguire le loro storie. L’opinione pubblica immagina che quando lo straniero viene portato nel Cie il problema è risolto. In realtà passano dei mesi prima che vengano sbrigate tutte le pratiche relative all’espulsione, mesi che trascorrono in condizioni di assenza di libertà, di distrazioni, in cui se anche lo straniero volesse partire per tornare al suo paese non potrebbe farlo. Nel corso dell’anno scorso il precedente governo aveva istituito il divieto di ingresso nei Cie per i giornalisti. C’è stato bisogno di una lunga campagna per ottenere la possibilità di entrare, concessa dal nuovo governo. Le limitazioni sono ancora molte, il permesso di entrare viene concesso solo una volta ogni tanto. In alcuni casi i giornalisti riescono ad inserire in un servizio di uno o due minuti delle informazioni interessanti, ma è chiaro che senza una copertura costante non si può rendere l’idea della complessità del problema.

Ieri l’ex sottosegretario Mantovano ha accennato in un comunicato al fatto che il Cie di Brindisi-Restinco sarebbe stato chiuso la settimana scorsa. In queste ore non sono arrivate conferme o approfondimenti da altre fonti. L’opinione pubblica resta pressoché all’oscuro di tutto.

Il Cie di Brindisi “è stato chiuso qualche giorno fa”

Il Cie di Brindisi è stato chiuso qualche giorno fa, martedì o mercoledì scorso. Lo dice l’ex sottosegretario Mantovano, che definisce il centro “poco utile a causa della sua scarsa capienza”. Le autorità locali avevano chiesto la sua chiusura, in quanto “funzionale al recupero delle unita’ di Carabinieri e Finanzieri ivi operanti”. Gli agenti, 25 in tutto, sarebbero tornati alle loro unità. I politici avrebbero preferito che fossero rimasti a Brindisi, dove di recente c’è stato un attacco coordinato a due furgoni portavalori, che si somma alla bomba che ha colpito le studentesse nel creare un clima di insicurezza.
Gran parte dei mass media non ha dato nessuno spazio a questa notizia. Sulla carta il Cie di Brindisi poteva ospitare 83 stranieri. Era più grande di quello di Modena(60 posti) o di Trapani (43). Sul territorio nazionale sono presenti altri 12 centri di espulsione. Il numero di posti disponibili non coincide con quello dichiarato ufficialmente, perché a seguito di alcune rivolte, alcune stanze sono al momento non agibili. Il Governo ha stanziato dei fondi per l’adeguamento di due dei Cie temporanei chiusi a seguito delle rivolte, ma non risultano al momento funzionanti. Il Cie di Caltanissetta è rimasto chiuso fino al mese di marzo. A metà maggio dovrebbe avere riaperto quello di Crotone. Entrambi sono rimasti chiusi per mesi senza mai sparire dalla cartina sul sito del Ministero. Si sta discutendo la riapertura del centro di Lampedusa.

Intanto TmNews ha messo online il video girato nel Cie di Trapani Milo. Due gli stranieri intervistati. Il primo ha lavorato in Italia per decenni, accumulando 20 anni di contributi. Ora che non ha più il lavoro è stato rinchiuso in gabbia. Chiede che gli vengano restituiti i soldi che ha pagato, per comprare il biglietto e tornarsene nel suo paese. Il secondo invece commenta il senso di incertezza che si prova nei centri di espulsione. A differenza del carcere, dove durata della pena viene stabilita all’inizio, nel Cie il tempo di permanenza dipende dalle procedure di identificazione. In caso di problemi burocratici, lo straniero non viene rilasciato né rimpatriato, ma si vede prolungare il tempo di reclusione più e più volte, fino ad un massimo di un anno e mezzo. Di solito ci vuole molto meno, cinque-sei mesi. Ma sul web non c’è una tabella con i tempi di permanenza medi dei vari centri.

Identificazione in carcere

E’ legalmente previsto che gli stranieri siano identificati in carcere. Lo scrive Terrelibere, riportando le parole di un avvocato trapanese che si occupa di immigrazione. Al momento però, finché lo straniero si trova in carcere, la procedura resta bloccata, e deve iniziare da zero al momento del rilascio. Per questo la polizia attende il clandestino all’uscita di prigione, per portarlo in un centro di espulsione in cui l’attesa può durare fino ad un massimo di un anno e mezzo.
Il giurista Fulvio Vassallo Paleologo l’ha definita “detenzione afflittiva”, perché non ha nessuna finalità rieducativa, non è collegata a nessun reato (infatti nei Cie finiscono anche persone che non hanno commesso reati, ma hanno solo il permesso di soggiorno scaduto), e prosegue anche “quando è ormai evidente che non si potrà procedere all’espulsione”.
Il motivo di questa strana procedura sta nell’assenza di coordinamento tra sistema penitenziario e sistema legato all’immigrazione. Il primo dipende dal Ministero di Giustizia, il secondo dal Ministero dell’Interno. A questo si aggiunge il mancato adeguamento della legge italiana alla Direttiva Europea sui rimpatri, che prevede il trattenimento amministrativo solo se è finalizzato al rimpatrio.

A Trapani ci sono due Cie: Serraino Vulpitta e Milo. Il primo è ospitato da un edificio pogettato per altri scopi, abbastanza inadatto ad essere una struttura detentiva, di cui di anni si chiede la chiusura. E’ stato visitato di recente dall’europarlamentare Alessandra Siragusa. Il secondo è una delle strutture più moderne in Italia, progettato appositamente per lo scopo, ed è stato visitato ieri da una delegazione di giornalisti di varie testate. “Un carcere dai colori vivaci”, l’ha definito TmNews, che ha dedicato un breve servizio alla visita, con una dichiarazione di un’infermiera e una di Roberto Natale della Fnsi. A quanto pare TmNews non è riuscita a parlare con nessuno dei migranti reclusi.

Aggiornamento:
Più tardi TmNews ha pubblicato il video con due interviste ai migranti.

Video dal Cie di Bari

Si è svolta ieri a Bari l’iniziativa nell’ambito della campagna LasciateCIEntrare, che chiede l’accesso dei giornalisti nei Centri di Identificazione ed Espulsione.
I giornalisti hanno potuto visitare la struttura e parlare con i reclusi. Sul sito del Corriere del Mezzogiorno c’è un video con le testimonianze raccolte. Alcuni degli intervistati hanno raccontato di essere trattati bene dagli operatori, ma di sentire la mancanza della libertà. Altri si sono lamentati della scarsità dei servizi igienici, o per l’assistenza medica ricevuta.
Alla visita hanno partecipato alcuni politici, come l’assessore comunale Losito e l’assessore regionale Fratoianni. Il primo ha detto che continuerà a chiedere la chiusura del Cie, il secondo che i centri di espulsione sono una “insopportabile sospensione della democrazia e della civiltà nel nostro paese”. I rappresentanti dell’Assostampa hanno detto che è necessario raccontare ai cittadini “come si svolge la vita all’interno di queste strutture”. Al termine del filmato del Corriere però compare uno dei componenti della delegazione, il quale sostiene che quello che ha visto è triste, tuttavia “l’esigenza di essere in Europa impone questo”, quindi “sarebbe opportuno rendere migliore la qualità della loro vita facendo in modo che i centri siano distribuiti su tutto il territorio nazionale in maniera tale da distribuire il costo a tutte le regioni, non solo alla Puglia”. I Cie sono già presenti in altre regioni italiane, il governo Monti ne sta riaprendo altri tre, quindi non è vero che tutta la responsabilità sia a carico della Puglia. Fortunatamente il Corriere ha dimenticato di scrivere in sovrainpressione chi è il personaggio intervistato, le cui dichiarazioni non vengono riprese dal testo dell’articolo sottostante.
Oggi, domani e dopodomani continueranno le visite negli altri Cie italiani. La Fnsi, il sindacato dei giornalisti, ha chiesto alla stampa di dare ampia visibilità alla campagna, e ha chiesto alla società civile di aderire.
Tuttavia su molti dei siti web nazionali e locali la notizia non compare in evidenza. Tutt’al più vengono riportati in breve i lanci di agenzia, per attirare traffico dai motori di ricerca.

LasciateCIEntrare 2012

E’ disponibile su Repubblica.it il video promozionale della campagna LasciateCIEntrare 2012, che si svolgerà questa settimana in tutta Italia per chiedere che i giornalisti possano esercitare il diritto di cronaca all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione. Il video è stato realizzato da Raffaella Cosentino, autrice del filmato che nei giorni scorsi abbiamo visto sul sito del Corriere. In 8 minuti e 12 il video mostra di nuovo alcune immagini di repertorio riprese nei Cie italiani, e interviste con Roberto Natale della Fnsi, con l’avvocato romano Andrea Saccucci, con Alessandra Ballerini dell’Asgi e con l’avvocato barese Luigi Paccione.
La campagna LasciateCIEntrare è nata l’anno scorso, dopo che il Ministro Maroni aveva vietato ai giornalisti l’ingresso a tutti i Cie e Cara italiani, per evitare di intralciare le operazioni di smistamento dei profughi nel corso dell’emergenza. Da alcuni mesi il nuovo Ministro Cancellieri ha revocato il divieto, ma continuano ad esserci delle limitazioni. Come a Lamezia Terme, dove la giornalista è stata autorizzata ad effettuare soltanto riprese esterne, e a Milano, dove sembra che giornalisti ancora non siano riusciti ad entrare.
Attraverso le sbarre uno dei reclusi spiega: “Quando uno viene qui con un telefono che ha la telecamera, o lo rompono, o non te lo danno, così non puoi fare registrazioni di nulla, così il mondo di fuori non sa niente”. Già in altri filmati diffusi sul web abbiamo sentito questa storia, e visto alcuni dei cellulari dei reclusi, con la lente delle videocamera spaccata. La stampa però non ha mai approfondito la questione. Quante volte è successo? Dove? In base a quale legge?
I Cie aperti, al momento, risultano essere 12. 5 al nord (Torino, Milano, Gorizia, Bologna e Modena), uno soltanto al centro (Roma), 6 al sud (Bari, Brindisi, Lamezia, Caltanissetta e due a Trapani). Altri tre stanno riaprendo, tutti al sud (Crotone, Potenza e Caserta).

Viaggio nei Cie

Da parecchio tempo non si vedeva sul web un documentario di una certa durata riguardante i Centri di Identificazione ed Espulsione. Ci ha pensato la solita Raffaella Cosentino, sempre in prima linea su questo fronte. Il video (sette minuti e mezzo) è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera. Trattandosi di carta stampata, in alcuni tratti l’audio non è ottimale, ma di sicuro si tratta del filmato più completo che ci sia capitato di vedere di recente.
La giornalista affronta, tra l’altro il tema dell’uso di psicofarmaci all’interno dei Cie. Alla domanda se vengono somministrati dei farmaci di questo tipo ai reclusi, il medico responsabile del Cie Serraino Vulpitta di Trapani risponde “No, o meglio si”. Poi precisa “Cerchiamo di limitare gli psicofarmaci solo a quei casi in cui ci sia indicazione da parte dello psichiatra”. Notare la parola “cerchiamo”.
La giornalista ha intervistato anche qualcuno nel dipartimento immigrazione del Ministero dell’Interno. “I Cie sono paragonabili alle carceri?” ha chiesto. “Ritengo che i Cie non siano luoghi di detenzione, intesi come carceri”, ha spiegato telefonicamente una dirigente. Sull’audio della telefonata, il video del Corriere mostra le immagini del corridoio di un Cie. Si vedono le sbarre di una porta, sulle quali è stata montata una rete metallica molto fitta.
Le immagini di apertura del filmato sono state riprese a Ponte Galeria, il Cie di Roma. Attualmente il tempo di reclusione degli stranieri in attesa di identificazione può arrivare fino a 18 mesi, un anno e mezzo, in caso di difficoltà con le autorità del presunto paese di origine. Anche in caso di persone incensurate. Solitamente il tempo di trattenimento è molto più breve, si cerca di non superare i sei mesi. Le statistiche in materia però vengono diffuse in maniera sporadica e frammentaria.
Tra gli intervistati, anche la legale del giovane che si è suicidato dopo il rilascio da Ponte Galeria. La quale racconta che dopo qualche tempo, il tentativo di evasione, e una presunta “caduta” che gli aveva causato danni al volto, il ragazzo “aveva lo sguardo fisso e l’espressione da persona indifesa”. Uso di psicofarmaci? Il suicidio è avvenuto dopo il rilascio del giovane, e la conseguente brusca interruzione di qualsiasi eventuale trattamento medico al quale il giovane poteva essere stato sottoposto.
A Trapani la Cosentino ha visitato due Cie. Quello di Milo, il più moderno in Italia, dove ha visto alcuni minorenni, presumibilmente rilasciati dopo le verifiche, e soprattutto dopo essere stati alcuni giorni a contatto con persone disperate, atti di autolesionismo, pregiudicati. E quello di Serraino Vulpitta, noto per essere considerato completamente inadatto allo scopo, essendo stato progettato con tutt’altro intento. Noto anche per gli immigrati morti nel corso di un incendio, alcuni anni fa. Si era detto che sarebbe stato chiuso con l’apertura dell’altro Centro nella stessa città. Invece è ancora in funzione.

Fratelli disoccupati chiusi nel Cie

Due fratelli di 23 e 24 anni sono rinchiusi da un mese nel Cie di Modena.
Risultano disoccupati, dopo che i loro genitori hanno perso la licenza per il commercio ambulante.
I due sono nati e cresciuti in provincia di Modena, e non sono stati registrati entro i 18 anni all’ambasciata bosniaca.
Per questo motivo è difficile che il paese dei loro genitori li accetti per il rimpatrio, ma neanche possono essere considerati italiani secondo la legge italiana. Che ne sarà di loro?
La notizia è stata pubblicata dal Fatto Quotidiano.
I due si trovano nel Cie di Modena dal 10 febbraio.
Hanno mandato un appello alla Corte Europea dei diritti dell’uomo e a Giorgio Napolitano, che poche settimane fa ha parlato della proposta di concedere la cittadinanza a chi nasce in Italia.
Sono state fissate due udienze davanti al giudice di pace, una il 12 marzo, lunedì prossimo, l’altra il 19.
Proprio in occasione della prima udienza, a partire dalle 8,30, è pevisto un presidio in via San Pietro 1, a cui hanno aderito Pd, Arci, L’Italia Sono Anch’Io, LasciateCIEntrare, associazione GiuleFrontiere e Comitato Primo Marzo (fonte Il Manifesto).
Si stanno raccogliendo firme per chiedere il rilascio immediato dei due ragazzi.
Cecile Kyenge, responsabile regionale del Pd per l’immigrazione ed esponente del Comitato 1 Marzo, si è interessata della vicenda.
Secondo lei il Cie è un luogo “economicamente ed umanamente inutile” e i ragazzi sono finiti dentro a causa di un'”anomalia della legge italiana”.
Nei giorni scorsi abbiamo letto il reportage e visto le foto dei giornalisti entrati proprio nel Cie di Modena.
Il 29 febbraio invece Il Fatto ha pubblicato le riprese girate nel Cie di Bologna. Là gli immigrati hanno mostrato che le fotocamere dei loro cellulari sono state danneggiate, per impedire la raccolta e diffusione di immagini dall’interno della struttura.
Online è disponibile il video di un intervento che Cecile Kyenge aveva registrato per presentare le iniziative previste in Italia lo scorso Primo Marzo, giornata del cosiddetto sciopero degli immigrati.

Proteste a Jesolo

31 stranieri ospitati a Jesolo hanno ricevuto l’8 febbraio scorso il diniego alla loro richiesta di asilo. Martedì scorso, gli ospiti del locale centro di accoglienza hanno protestato per le vie della città. A quanto pare, i richiedenti asilo non hanno ricevuto consulenza legale prima del colloquio con la commissione, né l’avrebbero ricevuta dopo per presentare il ricorso. Non avendo abbastanza soldi, gli stranieri non potevano permettersi un avvocato. Nel giro di 30 giorni, se non avessero abbandonato l’Italia, sarebbero diventati clandestini.
Dopo il corteo di protesta, sembra che qualcosa si sia sbloccato. In 10 sono stati trasferiti a Bibione, altri 21 sono stati destinati a Venezia. E qui dovrebbero ricevere l’assistenza legale per il ricorso. Secondo alcuni questo diritto è scritto nella convenzione che assegna la gestione del centro alla Croce Rossa. Per questo Melting Pot parla di “mala gestione” da parte dell’associazione, almeno a livello locale. Non si fa riferimento nell’articolo a quello che il commissario straordinario della Croce Rossa Francesco Rocca ha dichiarato alcuni giorni fa davanti al Comitato Schengen. Rocca ha chiesto leggi speciali per offrire protezione umanitaria ai profughi arrivati dalla Libia ma provenienti da altri paesi. Senza leggi speciali, almeno 10 mila persone potrebbero vedersi rifiutare la richiesta d’asilo. Secondo Melting Pot sono più del doppio i profughi che si trovano nella stessa situazione.
Il trasferimento da Jesolo è stato deciso anche a causa dell’ostilità dei politici locali, specie dopo il corteo di protesta. Gli stranieri “devono rassegnarsi a tornare nei paesi che non sono più in guerra, dopo che hanno percepito 46 euro al giorno a spese dei cittadini”, ha detto qualcuno. La loro presenza “non è più compatibile con la città”.
Su Melting Pot ci sono le video-interviste realizzate agli stranieri all’uscita del centro (purtroppo in inglese senza traduzione) e un filmato realizzato nel corso del corteo di martedì scorso.

Quanti milioni?

Tmnews ripesca alcune immagini di repertorio sul Cie di Santa Maria Capua Vetere, per dare visibilità alla notizia che Monti ha stanziato dei fondi per mantenerlo aperto fino alla fine del 2012. Però scrive che lo stanziamento da parte del Governo è di 13 milioni di euro, per adeguamento e manutenzione di due centri di espulsione temporanei: questo, in provincia di Caserta, e quello di Palazzo San Gervasio, in Basilicata. Gli altri siti web finora hanno fornito la cifra di 17 milioni e 700 mila euro. Come mai Tmnews l’ha ritoccata al ribasso?
Il servizio non è firmato da nessun giornalista. E’ probabile che si tratti di un errore di distrazione, ma comunque si tratterebbe di un errore fondamentale, perché quella cifra è una delle poche certezze che erano state diffuse in questi giorni. Infatti nessuno dei siti web in cui ci siamo imbattuti si è degnato di spiegare in cosa consistono questi lavori di adeguamento, e per quale motivo sarebbe necessario riaprire una struttura nata solo per gestire l’emergenza sbarchi, visto che al momento non c’è nessuna emergenza sbarchi.
Dice Tmnews che ci vollero tre giorni per allestire la tendopoli, messa su il 4 aprile 2011 dalla Protezione Civile. Il campo era composto da cento tende da sei e otto posti. Nato come campo di accoglienza, venne trasformato in Cie temporaneo, ovvero in un centro di espulsione. La consapevolezza per i reclusi di non avere diritto al permesso di soggiorno, e le condizioni in cui erano costretti a vivere, provocarono una rivolta, al termine della quale gran parte delle tende finirono distrutte in un incendio. La magistratura aprì un’inchiesta, di cui nessuno ci racconta l’esito.
Il servizio non fa alcun riferimento alla presa di posizione del sindaco della città, il quale ha chiesto fondi per l’ospedale, e si è lamentato per non essere stato consultato in merito alla scelta fatta dal nuovo governo, né alla parlamentare del Pd che ha presentato una interrogazione per chiedere il motivo di questa riapertura.
Sono due i Cie temporanei che beneficieranno dei fondi governativi per l’adeguamento. Ma mentre per quanto riguarda quello campano la notizia è stata ripresa da parecchi siti web, dalla Basilicata non giungono notizie, né in favore né contro. Più si va verso sud, e più l’informazione si dirada.