Iniziati i lavori per il Cpr in Albania

Sono iniziati i lavori per il centro migranti che dovrà sorgere in Albania.
Lo scrive Domani, in un articolo riservato agli abbonati.
A quanto pare il centro sorgerà “a pochi metri dagli ombrelloni”, a “Shengjin, destinazione di turismo balneare”. Una brutta notizia per tutti gli amministratori liguri che stanno protestando contro il Centro di Permanenza per i Rimpatri di Diano Castello, a loro dire troppo vicino alle spiagge di Diano Marina. A quanto pare al governo non importa molto di questi dettagli, anche se non è detto che si regoli nello stesso modo in Italia e Albania.
Il motivo per cui è stato scelto di aprire queste strutture all’estero è quello che gli elettori di centrodestra che sono favorevoli ai rimpatri non vogliono il Cpr sul proprio territorio. Vogliono che sia aperto altrove, senza mai specificare dove. Il posto ideale sarebbe lontano da qualunque centro abitato e vicino a un aeroporto. Ma non troppo vicino, per evitare che in caso di evasione i migranti possano invadere le piste.
L’altro motivo per cui si è scelta l’Albania è psicologico. Se i migranti racconteranno in patria che anche riuscendo a sbarcare in Italia si viene portati lontano dall’Italia, forse i loro connazionali rinunceranno a partire. Tesi tutta da dimostrare.
Huffpost ha scritto due giorni fa che il piano di costruzione dei centri migranti in Albania è in ritardo rispetto a quanto si prevedeva. Sarebbero potuti essere pronti prima delle elezioni europee, invece i lavori sono appena cominciati.
Del resto il piano di apertura dei Cpr in Italia è completamente fermo. Forse i motivi sono politici: i sopralluoghi ci sono già stati, ma prima di comunicare le decisioni prese si aspetta di incassare i voti alle europee che si terranno il mese prossimo.
Secondo il sito, i lavori per i centri albanesi potrebbero essere completati in autunno, anche se non c’è una data certa.
Dice l’articolo che il centro di Shengjin sarà destinato solo all’identificazione e alla raccolta delle domande d’asilo. L’altro, nella base di Gjader, sarà suddiviso in due parti: 880 posti sono destinati a chi attende il riconoscimento della protezione internazionale, e 144 sarebbero destinati al centro rimpatri. A cui si aggiunge un piccolo carcere per una ventina di detenuti al massimo.
Gjader si trova a meno di venti chilometri dalle spiagge di Shengjin, verso l’interno.

Centri migranti in Albania a novembre

Scrive Repubblica che i lavori per l’allestimento dei centri per migranti da aprirsi in Albania saranno completati il 10 novembre, salvo complicazioni.
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La foto è quella dei migranti nel cortile di un Cpr, non si sa quale.
Pochi giorni fa Il Fatto Quotidiano ha dedicato un articolo al Patto europeo su migrazione e asilo, e al fatto che probabilmente è inapplicabile, almeno così come è stato concepito.
I migranti che hanno basse probabilità di ottenere il diritto di asilo o che provengono da Paesi sicuri dovrebbero essere sottoposti a una procedura accelerata per esaminare le loro domande entro 12 settimane.
Nel frattempo bisognerebbe allestire delle strutture per detenere queste persone. Il fatto è che, dati alla mano, il numero di posti disponibile è di gran lunga insufficiente. Bisognerebbe passare dai mille posti attuali a quasi ottomila, per salire nei prossimi anni a trentamila, secondo i calcoli del quotidiano.
I posti in Albania non conterebbero, perché si trovano fuori dal territorio Ue.
Il motivo per cui il Governo ha optato per la soluzione albanese è che gli elettori di destra non vogliono centri per migranti sul proprio territorio, neanche se sono finalizzati alle espulsioni.
Si sono svolti dei sopralluoghi per l’apertura delle nuove strutture, ma la lista delle località scelte non è stata ancora comunicata. Si presuppone che il governo stia aspettando le elezioni europee e amministrative, per dare un’eventuale dispiacere ai suoi elettori solo dopo avere messo al sicuro i loro voti.

Albania, due agenti per ogni detenuto

Scrive Repubblica che chi commette reati nei Cpr verrà trasferito in un carcere italiano in Albania, con due agenti per ogni detenuto.
Il sindacato Uilpa ha detto “siamo basiti”: in Italia c’è una guardia carceraria ogni tre detenuti, di giorno.
Gli “agenti penitenziari” nel carcere albanese saranno italiani. L’investimento è di 36 milioni di euro.
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Scrive Riviera Oggi che gli agenti saranno 45 per un carcere da 20 posti.
In Italia la sicurezza nei centri per i rimpatri non è affidata alla polizia penitenziaria, ma ad agenti di polizia, carabinieri, finanza e anche ai militari dell’operazione Strade Sicure.
“In italia nel turno notturno si contano 7-8 agenti a sorvegliare 400-500 detenuti”, dice Uilpa. “Questo è un pugno nello stomaco a chi non fruisce di riposi, congedi e viene sottoposto a turnazioni massacranti”.
“Vorremmo sapere quanto l’operazione costerà ai contribuenti, sia per il mantenimento delle strutture sia per il finanziamento delle missioni internazionali”, chiede il sindacato, che auspica un confronto col ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Il motivo per cui l’attuale Governo ha deciso di puntare sull’Albania è che i suoi elettori sono istintivamente contrari a qualunque struttura destinata ai migranti sul proprio territorio, fosse pure un centro rimpatri. Gli amministratori di destra sono favorevoli ai centri rimpatri, purché si facciano altrove. Un problema di difficile soluzione. Si è scelto di puntare sull’estero, ovviamente con grossi costi di trasporto, trasferte, rifornimenti e accordi economici col Paese ospitante.
Ciononostante, il Governo non ha ancora rinunciato al piano Maroni-Minniti, ossia aprire almeno un centro rimpatri in ogni regione italiana. Si sono già svolti sopralluoghi, ma non ne è stato comunicato l’esito. L’ipotesi è che si attende lo svolgimento delle prossime elezioni amministrative-europee, per massimizzare i voti provenienti la destra prima di imporre la doccia fredda del centro per migranti sul territorio.

Confusione sui Cpr albanesi

Dopo l’accordo tra Italia e Albania per l’apertura di alcuni centri per migranti, nessuno ha capito di preciso di cosa si tratta.
Il Fatto Quotidiano titola: “‘Non so se l’accordo funzionerà. Nel solo Cpr mai più di 3 mila’ – Il premier allbanese e i migranti: ‘Decide Roma: come dice Meloni però se 18 mesi è il tempo di trattenimento non gestiremo mai 36 mila arrivi l’anno'”.
L’articolo è disponibile solo per abbonati.
Un altro articolo sullo stesso quotidiano però diceva che l’iter sarrebbe durato solo 4 settimane, non 18 mesi, e che le persone ospitate nei due centri da 3mila posti sarebbero state fino a 39mila.
La confusione riguarda la differenza tra centri per i rimpatri, in cui ci dovrebbero essere persone la cui domanda di asilo è già stata respinta, e centri di altro genere, in cui vengono portati migranti sbarcati da poco che hanno appena presentato la loro richiesta d’asilo.
Il ministro Piantedosi ha spiegato che i centri che verranno allestiti in Albania saranno come quello di Pozzallo-Modica. Che quando è finito nelle cronache perché alcuni giudici avevano disapplicato le norme approvate dal governo, era stato chiamato Cpr dai giornalisti.
In effetti si dice che questo centro sia al momento vuoto, quindi le procedure non riescono a funzionare neanche sul territorio italiano. Come funzioneranno sul territorio albanese, che è extraeuropeo e forse richiede aggiustamenti alle normative per la messa a punto delle procedure?
Il costo di queste strutture è ovviamente più alto di quelle da allestire sul territorio italiano, perché bisogna prevedere trasferte delle forze dell’ordine, delle commissioni e del personale che servirà per gestirlo. I motivi per cui è stata fatta questa scelta sono principalmente due. Il primo è di immagine. Il governo conta sul fatto che quando i migranti diranno alle loro famiglie di essere stati sbarcati in Albania anziché in Italia, si spargerà la voce e i flussi migratori si interromperanno. Il secondo riguarda la reazione delle popolazioni locali. Neanche gli amministratori di destra sono intenzionati ad accettare un centro del genere sul proprio territorio. Così, per non perdere elettori, il governo deve inventarsi qualche soluzione creativa, visto che non basta dire “non vogliamo immigrati” per farli magicamente sparire.

Cpr in Albania molto costosi

Il piano del governo di aprire centri di permanenza per migranti in Albania continua ad essere attaccato da tutte le parti.
Scrive Huffington Post che i due centri costeranno più di 10 in Italia. Lo Stato italiano dovrà versare ben 16,5 milioni di euro solo per il primo anno di attuazione del protocollo.
L’articolo è riservato agli abbonati.
E’ gratis invece un articolo del Fatto Quotidiano che prova a fare delle stime plausibili sulle percentuali dei rimpatri, ma non riesce ad immaginare i dettagli: bisognerà a ggiungere indennità di trasferta per polizia, magistrati, interpreti, mediatori culturali, sanitari, psicologi e infermieri, e bisognerà anche fare qualche modifica alla normativa, visto che l’Albania si trova non soltanto fuori dal territorio italiano, ma addirittura fuori dal territorio dell’Unione Europea.
Il motivo di questa scelta bizzarra è presto detto: il governo non nuvole scontentare le amministrazioni locali del suo stesso schieramento, che mai e poi mai vogliono strutture per migranti sul loro territorio, e non considerano il fatto che non basta la volontà per far scomparire magicamente coloro che sono arrivati e continuano ad arrivare.
La destra conta di mettere i migranti in una posizione scomoda, in maniera che facciano arrivare la notizia al loro Paese, che non si sbarca in Italia, per fermare così i flussi.
In realtà sono molti coloro che affrontano la rotta balcanica nonostante le difficoltà, quindi è possibile che questo deterrente non funzioni lo stesso.

Forse quelli in Albania non saranno Cpr

“Le segnalo che lì non sarebbe forse neanche un Cpr in quanto tale, ma in quellle strutture si tratterranno le persone per il tempo necessario, previsto dalle normative europee, per svolgere in maniera accelerata le procedure di identificazione e di gestione della domanda di asilo”.
Lo ha detto il ministro dell’Interno Piantedosi in audizione a Montecitorio. Segue un riferimento alla struttura già allestita a Pozzallo-Modica.
Insomma, si parla di Centri di Permanenza per i Rimpatri sulle prime pagine, ma nessuno ha ben chiaro di cosa si sta parlando. Si fa confusione coi centri di prima accoglienza, i centri di smistamento e ora i centri che verranno allestiti in Albania per gestire le domande di asilo dirette all’Italia.
Piantedosi ha accennato al suo piano di aprire un Cpr in ogni regione italiana e ha specificato che dentro ci andranno “solo le persone che hanno commesso reati in precedenza, che li fanno qualificare come pericolosi, come prevede la legge”. Quale legge?
E’ un film già visto. Il suo predecessore Minniti, che ha istituito i Cpr, diceva la stessa identica cosa, dimenticandosi però di metterla per iscritto. Col risultato che nei Cpr ci finivano anche le persone che i reati non li avevano commessi, proprio come nei Cie da cui i Cpr avrebbero dovuto distinguersi. In effetti anche chi non ha fatto niente di male ha commesso un reato: la violazione delle norme in materia di immigrazione. Comunque a sinistra ora vogliono credere che siano tutti innocenti, a destra che siano tutti colpevoli. E non è mai stata fatta una ricerca sui dati relativi ai reati commessi dai migranti che finiscono al Cpr: quanti sono e di che tipo.
I giuristi hanno già chiesto in passato di superare gli automatismi di questo genere. Se un ragazzo a 18 anni viene fermato con un po’ di droghe leggere in tasca, non puoi continuare a considerarlo pericoloso quando è diventato un uomo di trent’anni e non ha più commesso reati ma ha mostrato la volontà di integrarsi.
La discussione politica però è lontana anni luce da questi argomenti.
In molti hanno messo in dubbio l’utilità delle strutture da allestire in Albania: sono in discussione le basi giuridiche dell’operazione, e le procedure. L’Italia dovrebbe spendere soldi per portare lì gli stranieri, e poi per riportarli indietro dopo una ventina di giorni se le loro richieste sono state accolte.
Il motivo di questa scelta è collegato col fatto che non le amministrazioni locali non accettano sul proprio territorio strutture che abbiano a che fare con i migranti. Neanche quando si tratta di strutture che servono ad allontanare i migranti dalla strada e dal territorio.
Il ministro lo sa bene: sta mettendo a punto la lista dei nuovi Cpr da aprire nelle regioni che ne sono sprovviste, e riceve lettere dagli amministratori, anche del suo stesso schieramento, che gli dicono che il loro comune, meno di 5mila abitanti, è troppo urbanizzato, o è meta turistica, ha strade dissestate o qualche altra scusa più o meno fantasiosa.

Violata la tregua in Sudan

Ieri in Sudan è entrata in vigore una tregua di una settimana che aveva suscitato qualche speranza, essendo la prima ad essere stata firmata da entrambe le fazioni in lotta.
Stamattina però l’Ansa scrive che nel corso della notte la tregua è stata violata, con scontri e attacchi aerei nella parte meridionale della capitale Khartoum.
Il sito non dice chi ha violato la tregua, non quantifica i danni e non dice se ci sono stati morti e feriti.
Le ostilità sono riprese il 15 aprile scorso: da allora i morti sono stati un migliaio ma gli sfollati oltre un milione.
La guerra ha una componente etnica, scrive il Washington Post, che cita componenti arabe o arabizzate e persone di etnia nuba, arruolate nell’uno o nell’altro schieramento.
Negli anni passati c’era stata una guerra sanguinosa nella regione del Darfur, ma non aveva coinvolto la capitale del Paese.
I siti di informazione si concentrano sugli ultimi sviluppi, ma non ricordano quali sono i motivi scatenanti di questo nuovo conflitto.
Nel Paese in passato sono stati presenti anche mercenari del gruppo Wagner. Ora non ci sarebbero più, anche se si vocifera che abbiano fatto da tramite per far arrivare degli armamenti alle fazioni in lotta.
Il gruppo è ora impegnato nella guerra in Ucraina. Scrive Il Messaggero che quest’esperienza è stata abbastanza disastrosa per i paramilitari, addestrati alla guerriglia urbana, non allo scontro con i carri armati. Finita questa esperienza, vorrebbero tornare a offrire i loro servizi agli Stati africani, per contrastare il terrorirmo jihadista oltre che le instabilità interne. Ma dopo l’esperienza ucraina Wagner rientra nella lista delle organizzazioni criminali internazionali di Washington. E questo “dovrebbe indurre un ritorno dell’Occidente in Africa, dove non solo Prigozhin ha portato avanti e consolidato gli interessi di Mosca, ma si è sostituito alla soluzione d’ordine rappresentata fino a qualche anno fa dai legionari francesi”.

In Sudan si combatte

Pressenza riporta qualche brandello di notizie sui combattimenti in corso in Sudan. Contemporaneamente scrive che è stato raggiunto l’accordo per una tregua che dovrebbe cominciare stasera, a seguito dei colloqui avvenuti a Gedda, in Arabia Saudita.
La foto mostra dei manifestanti disarmati che hanno dato alle fiamme rami e pneumatici nella capitale Khartoum. I dimostranti chiedono una transizione a un governo in mano ai civili.
All’opinione pubblica italiana arrivano soltanto informazioni frammentarie. L’Ansa ha mostrato una foto di una colonna di fumo nero che si alza forse nei pressi dell’aeroporto della capitale. TgCom24 ha scritto che le forze del generale Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemeti stanno avanzando verso la principale base aerea sotto il controllo delle forze regolari del generale Abdel Fattah al Buran.
Il mese scorso Fanpage ha scritto un articolo per spiegare qual’è la situazione nel Paese, mettendo in evidenza la presenza dei mercenari del gruppo Wagner.
Usa, Ue e Italia già allora avevano deciso di evacuare i propri cittadini.
In Sudan nel 2019 c’è stata una rivoluzione che ha destituito il presidente Omar al Bashir da 30 anni al potere. Gli attuali contendenti all’epoca erano alleati.
Hanno poi partecipato insieme ad un golpe che ha fatto cadere il governo civile che avrebbe dovuto portare il Paese alle elezioni. Ma poi si sono spaccati sui tempi dell’integrazione delle forze di Dagalo nell’esercito, fino ad arrivare allo scontro militare.
Il Sudan è ricco di miniere d’oro, che sono al momento sotto il controllo di Dagalo. Nonostante sia il terzo produttore di tutto il continente, è uno degli Stati più poveri e dipende per un terzo dagli aiuti umanitari.
La Russia è interessata ad avere una base militare nella regione (il Paese affaccia sul Mar Rosso) e ha fornito la gran parte degli armamenti che l’esercito ha a disposizione.

Francia, aumentano i respingimenti di donne

Askanews ha realizzato un video servizio da Ventimiglia, dove c’è un’equipe di Medici Senza Frontiere che si occupa delle donne migranti che vengono respinte dalla Francia.
Un’esponente dell’associazione dice che molte di loro avrebbero diritto ad ottenere l’asilo in quanto vittime di violenza, eppure vengono respinte lo stesso e non ricevono cure adeguate.
Non vengono forniti dati precisi.
Il problema del passaggio dei migranti tra Italia e Francia è tornato di attualità dopo che alcuni esponenti francesi hanno criticato l’Italia per le sue politiche di contrasto all’immigrazione, sia perché sono troppo dure sia perché non sono abbastanza efficaci.
Il governo ha risposto per le rime, la questione ha occupato le prime pagine dei giornali per alcuni giorni.
Qualcuno ha cercato di approfondire: secondo la Stampa la Francia ha respinto 10 mila persone in 8 mesi solo in Val di Susa (articolo a pagamento).
Avvenire intanto ha scritto che il governo italiano ha ricevuto una lettera dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in cui vengono messe in risalto alcune criticità del decreto Cutro. Ne ha approfittato Alleanza Verdi Sinistra per presentare un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno.
I mass media accennano vagamente al fatto che alcuni punti del decreto sarebbero in contrasto col diritto internazionale, ma non si soffermano sui dettagili.
Nulla di nuovo intanto sul fronte dei Cpr. Il governo intende aprirne uno in ogni regione e sta studiando le possibili località in cui allestire i nuovi centri rimpatri ma mancano comunicazioni ufficiali. In Toscana soprattutto c’è una certa ostilità da parte del Pd nei confronti del progetto, anche se è lo stesso portato avanti dal centrosinistra quando era in maggioranza. Gli esponenti democratici locali dicono che bisogna investire su un sistema di accoglienza diffuso, ma non dicono se bisogna regolarizzare anche gli stranieri che hanno commesso reati. Contemporaneamente, amministratori locali dello stesso schieramento in altre regioni hanno presentato i Cpr come una delle possibili soluzioni al problema di mancanza di sicurezza nelle grandi città.
Nonostante il fatto che le aggressioni che hanno fatto notizia in questi giorni hanno riguardato Milano, una delle città nelle quali il centro per i rimpatri è attivo e funzionante.

Turchia al ballottaggio

Il 28 maggio in Turchia si voterà per il ballottaggio. I candidati emersi dal primo turno sono l’attuale presidente Erdogan, e il leader dell’opposizione Kilicdarogu.
Il quale è indietro di cinque punti e sta cercando di attirare il voto dei nazionalisti con dichiarazioni che hanno fatto rabbrividire coloro che lo avevano già beatificato soprannominandolo “il Gandhi turco”.
Una di queste riguarda la promessa di rimandare a casa tutti i migranti.
La Turchia si trova su una rotta di passaggio verso l’Unione Europea, oltre ad essere confinante con la Siria devastata da una guerra civile sostenuta dall’Occidente. In passato gli europei hanno dato dei soldi a Erdogan in cambio di maggiori sforzi per bloccare il passaggio dei migranti verso la Grecia e non solo. Le ulteriori richieste da parte della Turchia sono sembrate a molti un ricatto. Inoltre il passaggio dei migranti non si è interrotto del tutto: i morti della strage di Cutro provenivano appunto dalle coste turche.
Kilicdaroglu ha fatto riferimento alla situazione di 10 milioni di rifugiati presenti nel Paese.
La promessa di espellerli dovrebbe servire ad attirare coloro che al primo turno avevano votato il nazionalista Ogan.
I turchi hanno paura che il numero di rifugiati nel Paese possa triplicare nel giro di poco tempo.
In Siria l’Occidente aveva sostenuto gli insorti contro il presidente Assad sperando in un cambio di regime. Il piano finora non è andato a buon fine, e i combattimenti sono andati per le lunghe. Erdogan in passato aveva detto che non si potevano rimandare i siriani nelle mani dei loro assassini. L’Occidente non si fida troppo dell’attuale presidente turco, non allineato con gli altri Paesi su varie questioni, tra cui l’allargamento della Nato.
La Lega Araba sta pensando reintegrare la Siria nel prossimo vertice in Arabia Saudita. Il Paese sta cercando di contrastare il narcotraffico. Inoltre ospita milizie sostenute dall’Iran.